La regia...

Il Regista : Giancarlo Sammartano

Il Timballo del Gattopardo Solo spettacolo, solo un testo teatrale, o anarchica performance? Epica della cucina, o pretesto per un simposio letterario? Comico, tragico, grottesco?
Il Timballo del Gattopardo è, come la fragrante materia che evoca, una dorata crosta in cui convivono molti e diversi elementi, materie della natura orchestrate dall’uo...mo. In un salone da pranzo, che sovrasta a vista la sua cucina, due figuri –ma è più giusto dire figurine- in perfetto stile etnico ‘900 (ma quante reminiscenze letterarie dell’800, e ancora indietro fino alla madre Grecia!) dibattono e contrastano sul menù di un banchetto epocale: 13 convitati, 4 diverse portate per ciascuno, 52 piatti. Una metafisica scena di conversazione –Pinter e Martoglio- tra due generazioni, zio e nipote, scandita dall’azione reale della cucina che bolle, sfrigola, insapora. Motore del tutto è come sempre l’amore, una passione impossibile nata e tenuta in vita dall’effimera cottura del cibo.
E’ il valzer dell’acquolina, il tango delle papille, la contraddanza del dolce e del salato.
Nella diversità dei personaggi, forma e sostanza, circola la lingua comune della citazione letteraria, servita e sorbita come un liquore forte e raro. Quasimodo, Archestrato di Gela, Omero, De Roberto, Brancati, Verga, Vittorini, Tomasi di Lampedusa si materializzano a sorpresa dalle pagini di libri che sono qui non solo bagagli della memoria, ma veri e coerenti oggetti scenici: micidiali micce della nostalgia.
La cucina, come il teatro -di cui resta chiusa nel libro di chi lo ha scritto solo la foglia della memoria di chi lo ha visto- vive sempre nel presente. Il suo senso nascosto rivive nella memoria della ricetta, dove aleggia sempre minacciosa l’ambiguità del q. b. (quanto basta). Uno spettacolo sul baratro crudele del Tempo, sempre oscillante tra nostalgia del passato e attesa del futuro. Uno spettacolo sul cibo e sul desiderio, sulla sublime tecnica per rendere un piacere ciò che è necessità, scelta ciò che è obbligo: metafora di un’ascesa dalla bassezza della materia, alla leggerezza dell’arte. Cibo come danza, musica, poesia. L’in più del quotidiano. Edonismo, sì, ma epicureo. Voglia insaziabile di bellezza. Sapori e aromi da gustare sapendo che ciò che più importa è mantenere vivo il desiderio, poter pensare, in un lampo: E’ così bello che pare già di ricordarsene.
Se Carlo Cartier –attore fior di farina- si finge chef di antica concezione e rigido garbo, Carmelo Chiaramonte – chef di fama- si fa attore di una storia altrui che pure parla di lui, del suo amore per la Tradizione, per l’armonia della cultura materiale. Entrambi, come veri antropologhi, studiano e raccontano l’uomo mentre si muta.
Agli spettatori di stasera, pubblico eletto, vorremmo tanto offrire il piacere di una serata diversa, sulla luna, sotto le stelle.
Quindi, e soprattutto: Buon divertimento!

Giancarlo Sammartano